"L'attaccamento alla famiglia è stato probabilmente l'elemento più costante e meno evanescente nella coscienza popolare italiana. […]
Come introduzione a questo argomento, vorrei citare brevemente una straordinaria storia di vita raccontata a Palermo nel 1949 a Danilo Dolci. Gino O., nato orfano e divenuto borsaiolo, trascorse la sua adolescenza in diversi riformatori e si iscrisse al Partito comunista nel 1943, divenendo presto un dirigente della federazione comunista palermitana. Egli raccontò a Dolci due fatti del 1949 che sintetizzano la natura complessa e variabile dei rappori tra famiglia e società. Il primo accadde al congresso nazionale della Federbraccianti, tenutosi a Mantova, nel corso del quale si commosse fino alle lacrime ascoltando una delegata della provincia di Lecce che, scusandosi di non saper parlare italiano, disse: “Fino a quando non ci dànno la terra, fino a quando i picciniddi mie tengono li piedi scalzi, io non mi stancherò mai di lottare assieme alla mia compagna e non m'importano le bastonate della polizia.” (1) In questo caso, come appare chiaro, le privazioni familiari costituivano un movente importante per venire coinvolti nell'azione collettiva.
Lo stesso anno Gino O. si recò a Marineo, durante una delle numerose occupazioni di terre sui latifondi siciliani:
In quell'occasione ho ricevuto una lezione dura dal punto di vista pratico: perché mentre io con la lettura dei kolkos in Russia, invitavo i contadini alla coltivazione collettiva, essi procedevano invece allo spezzetamento e alla lavorazione individuale. Si preoccupavano di delimitare la loro porzione, con una cinta, delle pietre, le redini del mulo, come quando sul treno si precipita la gente all'occupazione dei posti, buttando cappelli, borse, giornali. A me la cosa sembrava strana e chiamai un contadino, dicendo che la cosa non era giusta; e questo mi rispose: "Scusami compagno Gino: se io lavoro il terreno col mulo, e quello lo lavora solo, all'ora del prodotto io n'ho a pigliare più assai."Anche qui la lezione sembra evidente: il radicato individualismo della cultura contadina meridionale era più forte di qualsiasi astratto appello alle famiglie per unire le loro risorse.
Individualismo e solidarietà, famiglia e collettività: ho cercato di mettere in rilievo la natura mutevole di questi rapporti nei quarantacinque anni di storia successivi alla caduta di Mussolini."
(1) D. Dolci, Inchiesta a Palermo, Torino 1956, p. 166.
Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Torino: Einaudi, 2006 [1989], p. X-XII.
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